giovedì 29 settembre 2022

Andiamo in tour

 



Arriva l'autunno e arriva anche il momento di pensare ai regali di Natale, per questo motivo iniziamo la promozione del mio ultimo libro "Piazze, larghi e rondò". Segnatevi gli appuntamenti.


9 ottobre 2022 - ore 12,15 con l'amica Liana Pastorin, nell'ambito di Portici di Carta presso la sala Turinetti all'interno delle Gallerie d'Italia - Piazza San Carlo. (prenotate il posto)



18 ottobre 2022 - ore 17.30, nell'ambito di "Ottobre con Graphot in Borgo Vittoria", presso la Piola Libreria di Catia - Via Bibiana 31



17 novembre 2022 - ore 18.00, presso la libreria Donostia - via Monginevro 85





lunedì 1 agosto 2022

Torino e gli immigrati

 




Nel 2017 pubblicavo questo post  nel quale analizzavo i numeri reali dell'immigrazione a Torino a distanza di 5 anni penso sia il caso di aggiornare i dati.

A Torino gli stranieri residenti sono (circa) 131.590 , di questi 63.478  sono europei di varia nazionalità, 36.245 africani, 19.131 asiatici, 12.659 americani (per la maggior parte provienienti da Sud e Centro America), 34 provenienti dall'Oceania, e 43 di origine sconosciuta. notiamo come rispetto ai dati precedenti ci sia una diminuzione di circa 6.000 unità.

questi 131.000 sono così suddivisi in città:

Circoscrizione
totale residenti
stranieri presenti
% sul totale
1 – Centro – Crocetta
79.077
8.755
11%
2 - Santa Rita - Mirafiori Nord - Mirafiori Sud
133.350
13.960
10,4%
3 - San Paolo - Cenisia - Pozzo Strada - Cit Turin - Borgata Lesna
120.912
14.348
12%
4 - San Donato - Campidoglio - Parella
94.444
13.739
14%
5 - Borgo Vittoria - Madonna di Campagna - Lucento - Vallette
121.190
21.272
17%
6 - Barriera di Milano - Regio Parco - Barca - Bertolla - Falchera - Rebaudengo - Villaretto
104.351
26.095
24%
7 - Aurora - Vanchiglia - Sassi - Madonna del Pilone
83.067
16.226
20%
8 - San Salvario - Cavoretto - Borgo Po - Nizza Millefonti - Lingotto - Filadelfia
125.245
17.199
14%
Totale
861.636
131.594
15,2%

da questi numeri possiamo dedurre che le circoscrizioni con la maggior presenza straniera siano la 6 e la 7, la primasicuramente più periferica e quindi anche quella con i costi di abitazione minori, la seconda raccoglie tutto il mondo che gravita attorno a Porta Palazzo.

Pare evidente come i numeri smentiscano la presunta "invasione" in atto, certo in alcuni quartieri rimane una forte tensione sociale, non diversa comunque da quella di altri periodi storici torinesi non lontano da oggi,  ma di certo non imputabile ai cittadini stranieri.


Fonti: http://www.comune.torino.it/statistica/



venerdì 15 luglio 2022

Festa del Piemonte

 

Il 19 luglio 1747, nell'ambito della guerra di successione Austriaca, i francesi di Luigi XV cercarono di penetrare in Italia attraverso il colle dell'Assietta, il comandante delle truppe piemontesi Conte di Bricherasio ordinò, visto l'impari schieramento di forze,  al Conte di San Sebastiano responsabile delle truppe sul colle di ritirarsi. Il Conte, sdegnato, rispose “Nojàutri bogioma nen”, e fermarono 40.000 francesi.... quel Bogia nen è stato spesso usato con una connotazione negativa per indicare una certa immobilità dei torinesi e dei piemontesi in genere, quando invece sta a indicare una fermezza e una testardaggine tipicamente subalpina. 




lunedì 11 luglio 2022

Pillole di Torino


Parte oggi il nuovo podcast dedicato a Torino alla sua storia e alle sue trasformazioni, saranno brevi pillole nelle quali di volta in volta affronteremo periodi diversi della storia. La prima puntata si occupa della sua fondazione e del periodo medievale. Buon ascolto.

Seconda puntata 

La Torino medioevale



Terza puntata

Le statue erranti




quarta puntata - la Torino post medievale



quinta puntata - Le cinte daziarie












venerdì 1 luglio 2022

The ghost of Tom Joad

 


Il 14 Aprile del 1939 esce The Grapes of Wrath (curiosamente tradotto in italiano Furore) considerato da tutti il capolavoro di John Steinbeck. Il libro narra la migrazione biblica dei contadini del Midwest che attraverso Texas, New Mexico e Arizona cercano di raggiungere la California dopo che le loro fattorie sono state espropriate dalle banche. Protagonista è la famiglia Joad che abbandona l’Oklahoma a bordo di un furgone scassato e tra varie vicissitudini raggiunge infine la California che si rivela essere non molto diversa dal mondo che hanno lasciato e soprattutto parca di occasioni di lavoro che consentano di vivere dignitosamente.

Tom è uno dei figli, è in libertà sulla parola dopo aver commesso un omicidio, ma non esita a seguire la famiglia, quando si rimette nei guai per aver ucciso l’uomo che ha ammazzato l’ex predicatore Casey (diventato sindacalista) prima si nasconde e poi lascia definitivamente la famiglia.

Nel 1995 Springsteen pubblica l’album The ghost of Tom Joad chiaramente ispirato al libro e nel brano omonimo riprende le parole che Tom usa quando comunica alla madre l’intenzione di andarsene:

Tom fece una risatina imbarazzata. “Be’, magari è come diceva Casy, che uno non ha un’anima tutta sua ma solo un pezzo di un’anima grande… e così…”

“E così che, Tom?”

“E così non importa. Perchè io ci sarò sempre, nascosto e dappertutto, Sarò in tutt’i posti… dappertutto dove ti giri a guardare. Dove c’è qualcuno che lotta per dare da mangiare a chi ha fame, io sarò lì. Dove c’e’ uno sbirro che picchia qualcuno, io sarò l’. Se Casy aveva ragione, be’, allora sarò negli urli di quelli che si ribellano… e sarò nelle risate dei bambini quando hanno fame e sanno che la minestra è pronta. E quando la nostra gente mangerà le cose che ha coltivato e vivrà nelle case che ha costruito… be’, io sarò lì. Capisci? Perdio, sto parlando come Casy. È che lo penso tutt’il tempo. Certe volte è come se lo vedo.”

Springsteen ambienta la vicenda ai bordi di un autostrada che ricorda quella che divide il Messico dagli Stati Uniti dove molti migranti cercano di entrare nella loro terra promessa e fa dire al suo Tom:

“Tom disse "mamma, ovunque trovi un poliziotto che picchia un ragazzo, ovunque trovi un neonato che piange per la fame, dove ci sia nell'aria la voglia di lottare contro il sangue e l'odio cercami, mamma, io sarò lì. ovunque trovi qualcuno che combatte per un posto dove vivere o un lavoro dignitoso, un aiuto, ovunque trovi qualcuno che lotta per essere libero, guarda nei loro occhi, mamma, vedrai me"

Il brano è già potente di suo ma acquista ancora più forza quando il Boss invita sul palco a suonarlo con lui Tom Morello chitarrista dei Rage Agaist the machine che nel 2000 avevano fatto una cover incendiaria del brano. L’assolo finale del brano fa lo stesso effetto che fece la celebre versione di “The Star spangled banner” fatta da Hendrix a Woodstock nel 1969, nella quale le note diventano il rumore delle bombe che cadono sul Vietnam e il suono delle mitragliatrici. In questo caso la chitarra di Morello sembra dare voce ai disperati che cercano fortuna attraversando il confine.

The ghost of Tom Joad  - Springsteen & Tom Morello

The ghost of Tom Joad  - Rage Against the Machine

The Star spangled banner" - Jimi Hendrix 1969


martedì 7 giugno 2022

Le canaglie

 


Ho da poco finito di leggere "Le canaglie" di Angelo Carotenuto. A prima vista è un libro di sport visto che il racconto si dipana attraverso la storia della Lazio tra il 1971 e il 1977, dal ritorno in A, alla vittoria dello scudetto e alle morti di Maestrelli e Re Cecconi, ma leggendolo ci si accorge che la spaccatura tra i due clan all'interno della squadra (uno guidato da Chinaglia e l'altro da Martini) non è altro che lo specchio di un paese spaccato in due tra rossi e neri, abortisti e antiabortisti, divorzisti e antidivorzisti, gli occhi del narratore (Marcello Traseticcio disegnato sul famoso fotografo Marcello Geppetti) si soffermano e raccontano di uno spogliatoio violento, armato esattamente come erano violente e armate le città, le scuole e le università italiane. Un ritratto a tutto tondo di un epoca che ha segnato l'Italia anche per i decenni successivi.

giovedì 26 maggio 2022

Eccolo!


 Le piazze costituiscono il cuore delle città fin dall’antichità: sono il luogo del commercio e della socializzazione. Torino non sfugge a questa logica, e di piazze ne conta circa duecento. Sono state sede di mercati, rivolte e grandi eventi, hanno visto la città trasformarsi innumerevoli volte, ingrandirsi e rimpicciolirsi, salire sul proscenio della storia e rimanere nascosta.

In questo libro ripercorro la storia del capoluogo piemontese attraverso le sue piazze legando a ognuno di questi luoghi curiosità, notizie e particolarità.

Un viaggio, illustrato da oltre 500 fotografie, che coinvolge tutta la città, dal centro alla periferia, passando dalla Torino barocca dei nobili e dei re a quella del popolo e del lavoro, andando alla ricerca di fatti, storie e personaggi.


presentazione Salone del Libro 2022 - 22 maggio



intervista GRP Radio


Articolo su Il Torinese

martedì 29 marzo 2022

Il cacciaballe



 Me ne ero già occupato un po' di tempo fa con questo post   ma in questi giorni mi è venuto sottomano un libro edito da Feltinelli e scritto da Renata Brogini "Passaggio in Svizzera" che prende in esame il periodo  passato da Indro Montanelli in Svizzera dopo il suo arresto, la sua presunta condanna a morte e la sua fuga dall'Italia. Montanelli su questi fatti ci ha costruito una carriera e una verginità dopo essere stato fascista della prima ora e cantore della grandezza del duce, salvo voltare gabbana quando il gran consiglio del fascismo lo fece cadere.  Cerca di avvicinarsi al Partito d'Azione e agli ambienti liberali ma viene sempre visto con diffidenza, si da a una certa clandestinità ma mette sempre nei guai chi gli sta vicino fino ad arrivare a far arrestare la moglie, Margarethe de Colins de Tarsienne, da questo punto in poi la storia raccontata dal giornalista è un cumulo di menzogne e mezze verità, inventa fatti, incontri, mischia le date, millanta amicizie, inventa fantomatici complotti contro di lui e a suo favore, inventa una condanna a morte, coinvolge SS e Cardinali e così via. Alla fine, sulla base dei documenti reali e non dei suoi racconti, la storia è molto più banale viene arrestato per sua imprudenza, grazie a questa fa arrestare anche altre persone, trasferito a Gallarate e poi a Milano, non esiste nessun processo contro di lui, nessuna tortura e soprattutto nessuna condanna a morte. Nei sui scritti, ad esempio, afferma che subito dopo la strage di piazzale Loreto a San Vittore era stata affisso l'elenco dei condannati a morte e che questa conteneva il suo nome, peccato che piazzale Loreto risalga al 10 agosto 1944 e che Montanelli era uscito (non scappato) dal carcere il primo dello stesso mese. Per la sua liberazione, che lui chiama evasione, inventa mille coinvolgimenti da Graziani a Shuster quando è provato che la sua liberazione avvenga grazie al lavoro di Luca Ostèria, agente dell'OVRA che cerca di accreditarsi presso gli alleati, che ottiene dal comando Tedesco a  Milano nella persona del criminale di guerra Saeweche e del comandante SS Rauff con l'intento di infiltrare il movimento dei fuoriusciti italiani in Svizzera, fuoriusciti che non vedranno mai di buon occhio Montanelli. Inventa di essere stato presente ai fatti di piazzale Loreto, quando vennero appesi per i  piedi i cadaveri di Mussolini, della Petacci e di altri gerarchi, avvenuti il 29 aprile del 1945 quando lui era ancora in Svizzera da cui rientrerà solo nel maggio successivo, In definitiva una marea di balle e mezze verità questa sarà sempre la sua cifra stilistica e solo in Italia un cialtrone simile può essere considerato un maestro.


Bonus Track: Uno dei racconti più fantasiosi di Montanelli è senz'altro quello della fantomatica intervista a Hitler, raccontava Montanelli che il primo settembre del 1939, quando la Wehrmacht invase la Polonia, lui era naturalmente lì, sul posto, esattamente dove fu scattata la celeberrima foto dei soldati tedeschi che sollevano la sbarra che delimitava il confine. Ebbene, Montanelli dice che mentre assisteva all’entrata dei carri armati, un soldato si accorse della sua presenza e gli si avvicinò per chiedere – con i modi che possiamo immaginare – chi fosse e che cosa ci facesse lì. "Sono un giornalista", avrebbe risposto Montanelli.,il soldato tedesco mise Indro contro un albero e impugnò il mitra per toglierselo di torno. Ma in quel moment si aprì lo sportello di un Panzer e dalla torretta sbucò un uomo esile, non molto alto, con un impermeabile beige, la frangetta nera e due baffetti che non si potevano confondere. Era Hitler. Saputo che l’intruso era un giornalista, il Führer ne bloccò l’esecuzione e gli concesse un'intervista  nella quale spiegò perché la Germania entrava in guerra’. Terminata l'intevista Montanelli corse in albergo per telefonare al direttore del Corriere, annunciandogli lo scoop. Lui era naturalmente entusiasta, perché si trattava della prima intervista in assoluto rilasciata da Hitler. Intevista che non venne mai pubblicata per un fantomatico intevanto del  Minculpop.

sabato 5 marzo 2022

Vergognatevi!

 


"Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì, o giovani, col pensiero, perché lì è nata la nostra costituzione.“ —  (Piero Calamandrei)

"E pensò che forse un partigiano sarebbe stato come lui ritto sull’ultima collina, guardando la città e pensando lo stesso di lui e della sua notizia, la sera del giorno della sua morte. Ecco l’importante: che ne restasse sempre uno."  - (Beppe Fenoglio)

"Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire partecipare. Chi vive veramente non può non essere cittadino partecipe. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti." -  (Antonio Gramsci)

La nostra Repubblica è nata sulla Resistenza e sul suo mito, sulle migliaia di giovani uomini e donne che decisero di rialzarsi dopo ventanni di dittatura e dire "Basta", a migliaia combatterono e a migliaia morirono. Come fu possibile un simile movimento spontaneo che non aveva finanziatori... fu possibile grazie all'aiuto delle nazioni che combattevano il mostro nazi-fascista, senza di loro e senza le loro armi non ci sarebbe stata nessuno Resistenza. E' per questo che oggi di fronte all'ignobile invasione dell'Ucraina rimango scandalizzato dalle parole che escono dalla bocca dei presunti eredi di quella Resistenza a partire dal presidente dell'Anpi, per proseguire con Fassina, Orsini, De Cesare, Landini e tutta la masnada di fiancheggiatori di Putin che sostengono che non vada supportata la resistenza Ucraina. Vergognatevi di fronte agli italiani, di fronte ai vostri figli, ai vostri genitori e ai vostri nonni e a tutti quelli che hanno perso la vita per consentire a voialtri cialtroni di blaterare con il culo al caldo in uno studio televisivo o su una cattedra universitaria, e al prossimo 25 Aprile evitate di andare in piazza a onorare quelle persone e soprattutto evitate di cantare "Bella ciao", cialtroni!




venerdì 11 febbraio 2022

Gli smemorati del ricordo

 



Fatti storici accertati: nell’aprile del 1941, a seguito dell’occupazione della Jugoslavia, il territorio fu spartito fra i due alleati invasori. All’Italia fu concessa una porzione occidentale della Slovenia, annessa come provincia di Lubiana, mentre la II° armata, al comando del generale Ambrosio, occupò militarmente i territori della Dalmazia, di parte della Croazia e del Montenegro. Se le aree meridionali furono assoggettate al controllo militare, il territorio sloveno annesso, essendo divenuto nazionale a tutti gli effetti, ebbe un’amministrazione civile, affidata al commissario Grazioli, ed ereditò quindi la normativa sull’internamento degli oppositori del regime, l’esercito italiano operò quindi per ottemperare a questo e vennero attrezzati diversi campi che operarono tra il ‘41 e il ‘43 di questi il più famoso è senz’altro quello dell’isola di Rab. Aperto nel luglio del 1942 ospitò in diverse fasi oltre 10.000 internati, in maggioranza donne, bambini e anziani, di questi i morti accertati sono circa 1500 (anche se un censimento della diocesi di Lubiana porta questa cifra a circa 3000), morti dovute a malnutrizione, malattie, infezioni ecc…

In diverse città italiane (Torino, Milano, Roma ad esempio) troverete delle vie intitolate a Arbe che non è altro che il nome italiano di Rab, ecco immaginatevi se in Germania ci fossero vie intitolate a Buchenwald oppure a Bergen Belsen. 

È questo il motivo per il quale non si può ricordare se prima non si fanno i conti con il proprio passato.




lunedì 24 gennaio 2022

Torino e le sue espansioni urbanistiche (work in progress) - aggiornato 4 febbraio -

 Visto che molti utenti non hanno le idee chiarissime sullo sviluppo urbanistico della città mi propongo di dare qualche dritta per mettere alcuni punti fermi. Torino per tutta l’antichità e il medioevo non è altro che un piccolo villaggio, le cronache parlano di un insediamento dei taurini attorno al terzo secolo a.c. (pare in zona vanchiglietta), secondo alcuni autori latini questo villaggio sarebbe stato distrutto da Annibale. Nel 58 a.c. Giulio Cesare decide di far costruire un avamposto militare sulla strada delle Gallie, nel 28 a.c. Ottaviano Augusto la rifonda con il nome di Augusta Taurinorum. La Torino romana non era diversa dagli altri insediamenti coevi e quindi un quadrato di circa 2,5 Km di perimetro per, più o meno,72 isolati.  Le dimensioni non cambiano neanche nel periodo medievale anche se Torino esprime tre re d’Italia longobardi ( Agilulfo, Arioaldo e Ragimperto), la città cresce in modo caotico all’interno delle mura (come si può vedere nell’immagine del  pittore olandese Jan Kraeck (Giovanni Caracca, Caraca, Caraqua, Carracha, Carrachio, Karack, Karraca) autore nel 1572 della prima pianta della città con un certo grado di attendibilità) il quadrilatero come lo vediamo oggi è quindi frutto dei lavori ottocenteschi. La lunga notte terminerà con l’arrivo in città di Emanuele Filiberto nel 1563, ma questa è un’altra storia...





La Mandorla (Pianta Abraham Allard, 1701 - 1733 – proprietà Rijksmuseum, Amsterdam)

Nel ‘500  dal punto di vista delle dimensioni più o meno si rimane sempre alla Torino medievale e le mura vengono di volta in volta sistemate e riaggiustate. Bisogna attendere gli anni dell’occupazione francese tra il 1536 e i 1559 che vennero aggiunti i bastioni ai 4 angoli delle mura (gli “orecchioni” che si vedono anche nella pianta del Charracha). Con l’arrivo di Emanuele Filiberto Torino inizia una grande ricostruzione si abbattono e si ricostruiscono palazzi e si progetta la nuova città. Nel 1564 Pietro Paciotto viene incaricato della costruzione della Cittadella che cambia in modo consistente la pianta della città e si inizia a dibattere di come espanderla al di fuori delle mura. Bisognerà attendere gli anni successivi alla guerra di successione del Monferrato per vedere, su progetto di Ercole Negro, l’ideazione della “Mandorla” che dalla Cittadella si protendeva verso il Po connettendo la città vecchia con le aree di espansione.




Cadono le mura (pianta maggi 1854)

Tra il ‘600 e il ‘700 Torino è un enorme cantiere, si drizzano vie, si costruiscono piazze, palazzi, chiese e il barocco diventa lo stile dominante, ma la città rimane piccola chiusa nelle sue mura. Il 26 giugno 1800 Napoleone, dopo aver vinto la battaglia di Marengo, arriva a Torino e la annette all’impero francese. Tra le prime disposizioni urbanistiche troviamo l’abbattimento delle porte e dei bastioni salvando, per il momento, la cittadella e palazzo madama. Cadono le mura e la città si apre trovando nuovi terreni. Alla fine della dominazione Napoleonica Torino avrà a disposizione quasi una tela bianca per potersi espandere e i Savoia, rientranti, non si faranno scappare l’occasione e tra il 1815 e il 1820 inizieranno i lavori per costruire quello che verrà chiamato Borgo Nuovo che espanderà la città verso il Po e la raccorderà con il nucleo iniziale di San Salvario. Di lì a poco lo Statuto Albertino darà un nuovo impulso all’ingrandimento di Torino.




L’abbattimento della Cittadella

Nel 1851 Carlo Promis inizia a lavorare al nuovo ingrandimento della città sui terreni della Cittadella che viene ritenuta ormai militarmente obsoleta. Nel ‘53 il piano è definitivo e prevede la costruzione di un intero quartiere, nel 1855 la fortezza viene declassata e infine nel ‘56 abbattuta mantenendo solamente la grande porta di accesso che verrà poi restaurata da Riccardo Brayda. In questo enorme spazio, nelle aree di rispetto e al posto dei bastioni vengono costruite Porta Susa, i giardini della Cittadella, piazza Statuto, la grande piazza Venezia (e in seguito piazza Solferino) la chiesa di Santa Barbara, la caserma Cernaia. Molte famiglie in vista acquistarono interi lotti a scopo di reddito, mentre altre vi costruirono i propri palazzi di famiglia come ad esempio i Frisetti (poi Agnelli) e i Mazzonis, questi ultimi si fecero costruire una villa ormai scomparsa la cui storia potete leggere qui. Nel 1853 iniziarono anche i lavori per la costruzione della cinta daziaria che sarà oggetto di un altro post.






 La prima cinta daziaria (nella foto di Gabinio la barriera di Casale)

Con l’approvazione dello Statuto Albertino nel 1848 veniva data alle città la possibilità di riscuotere dazi sulle merci in ingresso. Torino tra il 1853 e il 1858 si dota così di una cinta daziaria costituita da un muro alto 2 metri (di cui rimangono un centinaio di metri in corso Lanza), camminamenti e fossato inframmezzati dai caselli veri e propri. Il muro correva lungo perimetro costituito dagli attuali corsi Bramante, Lepanto, Pascoli, Ferrucci, Tassoni, Svizzera, Mortara, Vigevano, Novara e Tortona, oltre al Po proseguiva con una cancellata che ricomprendeva il territorio collinare tra l’attuale piazza Borromini e il fondo dell’attuale corso Lanza, qui troviamo ancora l’ultimo degli edifici daziari di questa fase ancora intattio che costituiva la barriera di Piacenza. Erano previste tre tipologie di casello: quelli di prima categoria (barriere di Nizza, Francia, Milano, Casale e Piacenza), di seconda (Stupinigi, Orbassano, Lanzo, Vanchiglia) e poi quelli che venivano chiamati “baracconi” su strada minori (Pellerina, Regio Parco, Villa della Regina, valle dei Salici) erano inoltre presenti caselli sulle principali vie ferrate. La cinta venne progettata dall'ingegnere Edoardo Pecco nell'ambito del Piano d'Ingrandimento della Capitale (1850-1852), concepito da Carlo Promis con intenti difensivi oltre che di riorganizzazione urbanistica. In totale era lunga 11.700 metri.




La seconda cinta daziaria (foto piazza Bengàsi)

Con la costruzione della barriera del dazio i terreni che rimasero fuori dalla cinta avevano un valore minore rispetto agli altri e fu così che intere borgate si svilupparono su di essi. Si arriva quindi ai primi del ‘900, la città ormai si è ingrandita e le nuove industrie vanno ad occupare gli spazi esterni alla barriera. Inizia quindi la lunga discussione che porterà all’approvazione del nuovo piano regolatore nel 1906 la creazione della nuova cinta daziaria porterà, nel 1909, alle dimissioni del Sindaco Frola e all’elezione di Teofilo Rossi. La nuova cinta (che non verrà mai completata del tutto) avrà un muro in mattoni, anche se non continuo. Analogamente alla precedente sono previsti uffici di I e II categoria, corpi di guardia in muratura, uffici in legno e corpi di guardia in legno, costruiti sui cosiddetti piazzali di barriera in corrispondenza delle strade nazionali, provinciali e comunali. La nuova cinta che corre su un percorso anulare lungo le vie Vigliani, Reni, Mazzarello, De Sanctis, Cossa, Sansovino, Veronese, Botticelli è costituita dalle barriere: di Nizza (piazza Bengàsi); di Stupinigi (piazza Caio Mario); di Orbassano (piazza Omero); di Francia (piazza Massaua); di Pianezza (piazza Cirene); di Lanzo e Venaria (piazza Stampalia) ; di Milano (piazza Rebaudengo); di Stura (zona di piazza Sòfia); di Casale (piazza Coriolano) e di Chieri (piazza Scipione l’Africano). Durante il regime fascista vennero aboliti i dazi poi ripristinati nel dopoguerra, le barriere persero la loro funzione definitivamente nel 1972 con l’introduzione dell’IVA. Di tutto questa grandiosa opera rimangono gli edifici di corso Moncalieri, piazza Rebaudengo, piazza Cirene, piazza Stampalia e piazza Bengàsi.





La Torino contemporanea 

 La seconda cinta ingloba di fatto tutti i quartieri che erano nati al di fuori della prima, ma la città non smette di crescere anche se, a differenza di Milano, non ingloba per legge tutti i comuni della cintura. Negli anni ‘20-’30 appena oltre alla barriera vengono costruite fabbriche e rispettivi gruppi di case popolari, Snia Viscosa verso Milano, Venchi Unica in direzione Grugliasco, Lingotto e poi Mirafiori verso sud, le concerie CIR a Madonna di campagna e così via, ciò fa si che i nuclei rurali preesistenti man mano si riducano e nuovi quartieri crescano (Parella, Rebaudengo, Pietra Alta, Mirafiori ecc…). Sarà il secondo dopoguerra a disegnare la Torino che conosciamo oggi l’impetuosa crescita economica e la grande immigrazione porterà la città a espandersi, anche grazie ai piani casa statali (INA, Gescal ecc...) che consentirono a quella che oggi è l’ATC (in passato IACP, che affonda le proprie radici nella legge 251/1903) di costruire interi quartieri sacrificando gli ultimi residui della Torino rurale, a partire dagli anni ‘50 nascono le Vallette, Falchera, Mirafiori sud, Mirafiori Nord, Areonautica ecc..