Visto che molti utenti non hanno le idee chiarissime sullo sviluppo urbanistico della città mi propongo di dare qualche dritta per mettere alcuni punti fermi. Torino per tutta l’antichità e il medioevo non è altro che un piccolo villaggio, le cronache parlano di un insediamento dei taurini attorno al terzo secolo a.c. (pare in zona vanchiglietta), secondo alcuni autori latini questo villaggio sarebbe stato distrutto da Annibale. Nel 58 a.c. Giulio Cesare decide di far costruire un avamposto militare sulla strada delle Gallie, nel 28 a.c. Ottaviano Augusto la rifonda con il nome di Augusta Taurinorum. La Torino romana non era diversa dagli altri insediamenti coevi e quindi un quadrato di circa 2,5 Km di perimetro per, più o meno,72 isolati. Le dimensioni non cambiano neanche nel periodo medievale anche se Torino esprime tre re d’Italia longobardi ( Agilulfo, Arioaldo e Ragimperto), la città cresce in modo caotico all’interno delle mura (come si può vedere nell’immagine del pittore olandese Jan Kraeck (Giovanni Caracca, Caraca, Caraqua, Carracha, Carrachio, Karack, Karraca) autore nel 1572 della prima pianta della città con un certo grado di attendibilità) il quadrilatero come lo vediamo oggi è quindi frutto dei lavori ottocenteschi. La lunga notte terminerà con l’arrivo in città di Emanuele Filiberto nel 1563, ma questa è un’altra storia...
La Mandorla (Pianta Abraham Allard, 1701 - 1733 – proprietà Rijksmuseum, Amsterdam)
Nel ‘500 dal punto di vista delle dimensioni più o meno si rimane sempre alla Torino medievale e le mura vengono di volta in volta sistemate e riaggiustate. Bisogna attendere gli anni dell’occupazione francese tra il 1536 e i 1559 che vennero aggiunti i bastioni ai 4 angoli delle mura (gli “orecchioni” che si vedono anche nella pianta del Charracha). Con l’arrivo di Emanuele Filiberto Torino inizia una grande ricostruzione si abbattono e si ricostruiscono palazzi e si progetta la nuova città. Nel 1564 Pietro Paciotto viene incaricato della costruzione della Cittadella che cambia in modo consistente la pianta della città e si inizia a dibattere di come espanderla al di fuori delle mura. Bisognerà attendere gli anni successivi alla guerra di successione del Monferrato per vedere, su progetto di Ercole Negro, l’ideazione della “Mandorla” che dalla Cittadella si protendeva verso il Po connettendo la città vecchia con le aree di espansione.
Cadono le mura (pianta maggi 1854)
Tra il ‘600 e il ‘700 Torino è un enorme cantiere, si drizzano vie, si costruiscono piazze, palazzi, chiese e il barocco diventa lo stile dominante, ma la città rimane piccola chiusa nelle sue mura. Il 26 giugno 1800 Napoleone, dopo aver vinto la battaglia di Marengo, arriva a Torino e la annette all’impero francese. Tra le prime disposizioni urbanistiche troviamo l’abbattimento delle porte e dei bastioni salvando, per il momento, la cittadella e palazzo madama. Cadono le mura e la città si apre trovando nuovi terreni. Alla fine della dominazione Napoleonica Torino avrà a disposizione quasi una tela bianca per potersi espandere e i Savoia, rientranti, non si faranno scappare l’occasione e tra il 1815 e il 1820 inizieranno i lavori per costruire quello che verrà chiamato Borgo Nuovo che espanderà la città verso il Po e la raccorderà con il nucleo iniziale di San Salvario. Di lì a poco lo Statuto Albertino darà un nuovo impulso all’ingrandimento di Torino.
L’abbattimento della Cittadella
Nel 1851 Carlo Promis inizia a lavorare al nuovo ingrandimento della città sui terreni della Cittadella che viene ritenuta ormai militarmente obsoleta. Nel ‘53 il piano è definitivo e prevede la costruzione di un intero quartiere, nel 1855 la fortezza viene declassata e infine nel ‘56 abbattuta mantenendo solamente la grande porta di accesso che verrà poi restaurata da Riccardo Brayda. In questo enorme spazio, nelle aree di rispetto e al posto dei bastioni vengono costruite Porta Susa, i giardini della Cittadella, piazza Statuto, la grande piazza Venezia (e in seguito piazza Solferino) la chiesa di Santa Barbara, la caserma Cernaia. Molte famiglie in vista acquistarono interi lotti a scopo di reddito, mentre altre vi costruirono i propri palazzi di famiglia come ad esempio i Frisetti (poi Agnelli) e i Mazzonis, questi ultimi si fecero costruire una villa ormai scomparsa la cui storia potete leggere qui. Nel 1853 iniziarono anche i lavori per la costruzione della cinta daziaria che sarà oggetto di un altro post.
La prima cinta daziaria (nella foto di Gabinio la barriera di Casale)
Con l’approvazione dello Statuto Albertino nel 1848 veniva data alle città la possibilità di riscuotere dazi sulle merci in ingresso. Torino tra il 1853 e il 1858 si dota così di una cinta daziaria costituita da un muro alto 2 metri (di cui rimangono un centinaio di metri in corso Lanza), camminamenti e fossato inframmezzati dai caselli veri e propri. Il muro correva lungo perimetro costituito dagli attuali corsi Bramante, Lepanto, Pascoli, Ferrucci, Tassoni, Svizzera, Mortara, Vigevano, Novara e Tortona, oltre al Po proseguiva con una cancellata che ricomprendeva il territorio collinare tra l’attuale piazza Borromini e il fondo dell’attuale corso Lanza, qui troviamo ancora l’ultimo degli edifici daziari di questa fase ancora intattio che costituiva la barriera di Piacenza. Erano previste tre tipologie di casello: quelli di prima categoria (barriere di Nizza, Francia, Milano, Casale e Piacenza), di seconda (Stupinigi, Orbassano, Lanzo, Vanchiglia) e poi quelli che venivano chiamati “baracconi” su strada minori (Pellerina, Regio Parco, Villa della Regina, valle dei Salici) erano inoltre presenti caselli sulle principali vie ferrate. La cinta venne progettata dall'ingegnere Edoardo Pecco nell'ambito del Piano d'Ingrandimento della Capitale (1850-1852), concepito da Carlo Promis con intenti difensivi oltre che di riorganizzazione urbanistica. In totale era lunga 11.700 metri.
La seconda cinta daziaria (foto piazza Bengàsi)
Con la costruzione della barriera del dazio i terreni che rimasero fuori dalla cinta avevano un valore minore rispetto agli altri e fu così che intere borgate si svilupparono su di essi. Si arriva quindi ai primi del ‘900, la città ormai si è ingrandita e le nuove industrie vanno ad occupare gli spazi esterni alla barriera. Inizia quindi la lunga discussione che porterà all’approvazione del nuovo piano regolatore nel 1906 la creazione della nuova cinta daziaria porterà, nel 1909, alle dimissioni del Sindaco Frola e all’elezione di Teofilo Rossi. La nuova cinta (che non verrà mai completata del tutto) avrà un muro in mattoni, anche se non continuo. Analogamente alla precedente sono previsti uffici di I e II categoria, corpi di guardia in muratura, uffici in legno e corpi di guardia in legno, costruiti sui cosiddetti piazzali di barriera in corrispondenza delle strade nazionali, provinciali e comunali. La nuova cinta che corre su un percorso anulare lungo le vie Vigliani, Reni, Mazzarello, De Sanctis, Cossa, Sansovino, Veronese, Botticelli è costituita dalle barriere: di Nizza (piazza Bengàsi); di Stupinigi (piazza Caio Mario); di Orbassano (piazza Omero); di Francia (piazza Massaua); di Pianezza (piazza Cirene); di Lanzo e Venaria (piazza Stampalia) ; di Milano (piazza Rebaudengo); di Stura (zona di piazza Sòfia); di Casale (piazza Coriolano) e di Chieri (piazza Scipione l’Africano). Durante il regime fascista vennero aboliti i dazi poi ripristinati nel dopoguerra, le barriere persero la loro funzione definitivamente nel 1972 con l’introduzione dell’IVA. Di tutto questa grandiosa opera rimangono gli edifici di corso Moncalieri, piazza Rebaudengo, piazza Cirene, piazza Stampalia e piazza Bengàsi.