“I
had a friend was a big baseball player”
Chissà
quale percorso spazio-temporale ha fatto si che un gruppo casuale di
bambini/ragazzi si sia ritrovato nello stesso posto per praticare uno
sport che, in buona sostanza, in Italia era ed è semisconosciuto. In
quella primavera di metà anni’70, in una Torino depressa dal
terrorismo e da una crisi economica che non avrebbe tardato ad
arrivare, alcuni di loro si trovarono in un campetto un po’ scrauso
tra via Passobuole e via Pio VII. Alcuni di loro erano lì perché i
loro padri, o madri, avevano praticato quello sport, altri perché a
farlo erano stati i loro fratelli maggiori, alcuni in modo
assolutamente casuale, fu il caso mio e di mio fratello per i quali,
imprevedibilmente, il fato aveva fatto si che il padre lavorasse in
una fabbrica (salm, eurosalm? chissà!) davanti al campo e che la
sorella di Gildo Faletti si facesse i capelli da mia zia. Altri
arrivarono per caso, amici di amici, passaparola e chissà che altro.
Era un coarcervo di persone e di ceti, figli di operai, di muratori,
di commercianti ecc… tutti insieme senza badare troppo da dove si
arrivava. Da piccoli non avevamo coscienza di noi nel senso che non
avevamo ancora sviluppato quel senso di appartenenza e di “branco”
che avremmo avuto dopo.
Ci si allenava due volte la settimana in
primavera ed estate e una in autunno e inverno (di domenica così
c’erano meno problemi a farsi portare dai genitori). Via Passobuole
era frequentata da persone improbabili ma perfettamente inserite in
quel mondo un po’ naif. I ricordi di ragazzino con Brit, al secolo
Italo Brenchio classe 1924 olimpionico di marcia, che allenava le sue
squadre miste in costume da bagno leopardato e cappellaccio da cowboy
in testa, oppure che faceva la doccia con noi lavandosi, lui che
lavorava ai mercati generali, con cetrioli e pomodori. Sellari che
aveva una visione sociale dello sport, non solo risultato ma anche
riscatto; di qui le sue squadre formate da ragazzi difficili di
quartieri difficili, mirafiori sud, mirafiori nord, borgo cina e che
fino all’ultimo ha portato avanti il suo baseball fatto di
inclusione. Pucci e Piek, i due grandi del softball non solo
torinese o piemontese ma italiano, con il loro enorme danese wotan
che correva per il campo insieme alle ragazze che si allenavano.
Faletti e Giglioli, cane e gatto; riuscivano a litigare anche nelle
partite dei ragazzini, e parte di quei ragazzini eravamo noi.
Campionati strani, un anno giocammo 6 partite contro la stessa
squadra, la juventus, in altri giravamo praticamente solo la val di
susa: avigliana, rosta, sant’antonino, sant’ambrogio e villardora
per un certo periodo “Gli Avversari” in epiche sfide punto a
punto e a un certo punto quasi gemellati quando qualcuno di noi andò
a Villardora e qualcuno di loro venne a Torino per cercare l’assalto
al titolo italiano. Sogno che si infranse a Rho in una partita
condita da un arbitraggio abbastanza indegno per di più da un
arbitro torinese.
Ecco
il campionato italiano, a quello ci siamo arrivati una sola volta,
nel 1983, a Castiglione della Pescaia, ci siamo sempre fermati agli
spareggi interregionali una volta mole’s friends, una volta Rho,
una volta Collecchio… Collecchio la sconfitta che più brucia e
forse ricordiamo tutti, 42-0 una diversità imbarazzante e dire che
avevamo pure il prestito, di cui non faccio il nome, che disse
“tranquilli io lancio nella juventus” se non ricordo male scese
dal monte al secondo con sul groppone una ventina di punti. In
definitiva in un decennio di dominio giovanile siamo riusciti ad
arrivare ai nazionali una sola volta, una soddisfazione enorme per
tutti anche se il risultato, che lascia un po’ di amaro in bocca
per via della partita con il Bologna persa 5-4, passa in secondo
piano. Nel frattempo al nucleo originario si erano aggiunti altri
ragazzi, chi da squadre diverse, chi totalmente ex novo si erano
integranti con noi. Il segreto di quella giovanile, capace di giocare
e vincere nella propria categoria e in quella superiore a volte pure
nella stessa giornata con folli spostamenti in auto, era proprio
l’amicizia. Eravamo squadra in campo e fuori e i problemi tra di
noi, e ci sono stati arrivando a volte alle mani, sono sempre rimasti
nello spogliatoio. Molti di noi uscivano insieme al sabato con pochi
o nessun soldo in tasca, in giro a piedi o in bus eppure ci stava
bene pure quello. Poi sono venuti gli anni della prima squadra, la B,
la C alti e bassi, allenatori improbabili e a volte pure incapaci
eppure lo spirito tra di noi non è mai venuto meno anche con i nuovi
arrivati e con chi si è aggregato alla ciurma strada facendo. Tanti
sono andati via, chi in altre squadre, chi semplicemente ha seguito
la sua vita: il lavoro, la famiglia da mettere su; infine si è
arrivati al 1992 l’ultimo nostro campionato, abbiamo smesso di
esistere come squadra ma non come gruppo che in parte ha ancora
continuato a ritrovarsi in altre realtà sportive.
Oggi alla fine del
2019 cosa è rimasto di quei vent’anni? Ci si era persi di vista,
qualcuno aveva continuato nell’ambiente, altri erano “dispersi”
in altre faccende eppure al momento di ritrovarci e rivederci è
stato quasi automatico non accorgersi del tempo passato, certo molti
chili in più, tanti capelli in meno eppure certe dinamiche sono
rimaste intatte se non fosse stato per l’aspetto fisico avrebbe
potuto essere una serata di fine anni ‘80 magari da Su Forru a
svuotare il frigo delle birre. Athos e Luca i fratelli maggiori
(d’altronde l’anagrafe non mente), Massi, Roby e Sergio più seri
e riflessivi, Max e Leo cugini in tutto e per tutto, cane e gatto,
acqua e olio eppure uniti, quasi fratelli. Ciano con la sua lingua
tagliente e chirurgica, poi ci sono io minchione a tutto tondo con
un animo da dodicenne in un fisico bolso di mezz’età.
“Friends
will be friends
When
you're in need of love they give you care and attention
Friends
will be friends
When
you're through with life and all hope is lost
Hold
out your hand 'cause right till the end “
p.s.
un ricordo doveroso a chi ha percorso un pezzo di strada con noi e
oggi non c’è più, che la terra vi sia leggera.