martedì 12 maggio 2020

"It ain't over 'til it's over" Yogi Berra un'icona americana

Il 12 maggio 1925 nasceva a Saint Louis in Missouri Lawrence Peter Berra da tutti conosciuto con il soprannome, affibiatogli da un amico che l’aveva visto seduto a gambe conserte come un indù, di Yogi. Figlio di due immigrati italiani inizia a giocare nelle minors agli inizi degli anni ‘40, serie che ritroverà al ritorno dal fronte dopo aver servito in Europa durante la II guerra mondiale.

Nel 1946 viene chiamato dagli Yankes dove sarebbe rimasto fino al 1963 (come giocatore-allenatore) per poi passare ai nei Mets tra il 1964 e il 1971 come coach e dal 1972 al 1975 come manager. Tornò poi agli Yankes come coach tra il ‘77 e l’83 e come manager nel 1984 per essere licenziato all’inizio di quella ‘85. Lavorerà ancora come coach per gli Astros fino al definitivo ritiro nel 1989.

I numeri descrivono un giocatore di altissimo livello 17 stagioni da giocatore (soprattutto catcher) media battuta 285, 358 home runs e 1430 punti battuti a casa, da allenatore 484 partite vinte – 444 perse, 15 volte All Stars, 13 World Series 10 da giocatore e 3 da tecnico. Muore il 22 settembre 2015 a novantanni.

Giocatore iconico non solo per i successi sportivi ma anche per il carattere vulcanico e la lingua tagliente che lo portò a inventare quelli che vennero chiamati “yogismi” alcuni sono famosi ancora oggi anche al di fuori dell’ambiente del baseball, la più famosa di tutte e anche la più utilizzata spesso a sproposito è la celeberrima “It ain't over 'til it's over” (non è finita finché non è finita).

Qui potete trovare una raccolta di frasi e aforismi suoi o attribuiti a lui.

venerdì 8 maggio 2020

"El Trinche"



A volte gli dei dello sport donano il talento a chi, per scelta di vita e di modo di viverla, non lo sfrutta per guadagno personale, per la gloria o per la fama, ma semplicemente perché si diverte a fare quello che fa. Così fu con Tomas Felipe Carlòvich “El Trinche” soprannome di cui nemmeno lui ricordava l’origine.

Figlio di immigrati croati capitati a Rosario in cerca di fortuna, ultimo di sette fratelli, dotato di quel talento che solo i grandissimo conoscono. Cresciuto sui campi in terra di periferia, legato al suo barrio (la Tablada di Rosario) e ai suoi amici, era l’attrazione massima dei campionati minori, i presidenti aumentavano il biglietto quando giocava lui perché Esta noche juega El Trinche”.

Centrocampista di talento, genio, irriverenza, la stessa che lo rivelò agli argentini quando la nazionale organizzò una partita di preparazione ai mondiali del ‘74, come avversario venne scelta una selezione di giocatori della zona di Rosario, l’unico proveniente dalle serie minori era lui “el Trinche” in un ora distrusse l’Albiceleste guidata da Vladislav Cap “el Polaco” che pregò l’allenatore avversario di togliere quel 5 dal campo.

Di lui si racconta che ricevesse un un bonus per ogni tunnel e un bonus speciale per ogni doppio tunnel, il “Doble caño”, che effettuasse; che prima dei mondiali del ‘78 Menotti l’avesse convocato ad un raduno a cui lui non sarebbe mai arrivato perché durante il viaggio aveva visto un bel fiume e si fosse fermato a pescare. Si affacciò solo brevemente al calcio professionista nel Rosario Central ma la nostalgia della sua vita normale non gli consentì di proseguire e di affermarsi ad alto livello.

Tutti i calciatori e allenatori argentini di quel periodo parlano di lui come di un calciatore formidabile, dotato di tecnica, tiro, visione di gioco; nel 1993 Maradona approdò al Newells old boys e al giornalista che gli diceva che tutta la città era orgogliosa di avere il più grande calciatore del mondo lui rispose “il più grande ha già giocato qua: era “el Trinche” Carlòvich.

Se ne andato oggi 8 maggio, aveva appena compiuto 71 anni, per i postumi di una caduta a seguito di una rapina, Due ragazzini l’avevano aggredito qualche giorno fa per rubargli la bicicletta.

Con lui se ne va un pezzo di quel calcio romantico che ormai appartiene solo al passato.